lunedì 3 giugno 2013

Perché non possiamo ricordare ciò che ci succede prima dei 3 anni

Nessuno di noi ha ricordi dell'infanzia, ciò che si è fatto e le esperienze vissute vanno inevitabilmente perse. Può essere presente qualche vago ricordo o qualche immagine sfumata, ma oltre a questo, andando indietro con i ricordi di arriva ad un punto oltre al quale non si riesce a proseguire.

Forse la spiegazione più comune è quella di pensare che questo fenomeno sia causato dal fatto che da piccoli il cervello non è ancora abbastanza maturo per avere piena coscenza di se stessi. Nuove ricerche invece sembrano dimostrare che la causa di questo vuoto non sia nel meccanismo della coscenza, ma in un "malfunzionamento" del meccanismo della memoria.

I bambini sotto i tre anni infatti possono ricordare perfettamente ciò che hanno fatto il giorno precedente ed anche ciò che è successo la settimana prima o cosa è stato regalato loro a Natale. Col passare degli anni, però, nessuno dei ricordi della prima infanzia rimane impresso nella memoria e sparisce per sempre

Questo strano comportamento del cervello è da tempo un argomento di ricerca per gli scienziati e ora, grazie ad un nuovo studio, sembra si sia iniziato a fare un po' di chiarezza. Questa particolare "amnesia infantile" che abbiamo tutti sembra essere causata dalla rapida crescita delle cellule nervose dell'area celebrale chiamata ippocampo, la regione che ha il compito di immagazzinare i ricordi nella memoria a lungo termine.

Come spiega il Professor P.W. Frankland, ricercatore all'Università di Toronto e coautore dello studio: "nei bambini la formazione di ricordi stabili di ciò che è accaduto nei primi anni della loro vita sembra essere impossibile. Ho una bambina di 4 anni e, per portare avanti questo studio, le faccio spesso domande riguardanti cose che sono accadute 2 o 3 mesi prima. Si ricorda le cose chiaramente e con un buon livello di dettaglio, però tra tre o quattro anni non ricorderà niente."

Gli scienziati da anni sospettano che l'ippocampo abbia a che vedere con questo rompicapo. Secondo il Dottor Eric Kandel, neuroscienziato della University of Columbia: "L'ippocampo matura lentamente ed è probabile che non raggiunga un buon livello di funzionamento fino ai 3 o 4 anni d'età. Nonostante i bambini di 2 o 3 anni possano ricordare le cose per un breve periodo, per fare sì che i ricordi arrivino alla zona della memoria a lungo termine è necessario il lavoro di quest'area del cervello.

Gli scienziati ancora non conoscono in dettaglio ciò che succede nel cervello dei bambini, Frankland crede che questi ricordi vengano immagazzinati nella memoria a lungo termine, ma in qualche modo durante la fase di rapida crescita, che avviene nei primi anni della nostra vita, l'ippocampo "perda" il riferimento alla loro posizione e non sia più in grado di recuperarli.

Con la cresita dell'ippocampo nasce una grande quantità di neuroni che si allineano e cercano di agganciarsi ai circuiti neuronali esistenti tramite le sinapsi. L'opinione di Frankland è che con tutto questo trambusto dovuto alla ristrutturazione dei neuroni, il cervello possa dimenticare la posizione in cui aveva immagazzinato i primi ricordi. In seguito, quando la fase di espansione neuronale rallenta, il cervello riesce a tracciare con maggiore accuratezza la posizione in cui vengono immagazzinati i ricordi ed in questo modo i bambini più grandi, da 4 anni in su, hanno una migliore capacità di accedere alla loro memoria a lungo termine.

Frankland ha voluto provare la sua teoria utilizzando dei topi trattati in modo da rallentare il ritmo di creazione dei neuroni. Ai topi succede lo stesso che accade anche nei bambini: possono memorizzare la strada per uscire da un labirinto per qualche giorno, ma crescendo dimenticano la soluzione.

Il prossimo passo per Frankland è provare che la sua teoria verificandola sull'uomo. A causa del suo lavoro Frankland ha la possibilità di assistere bambini affetti da tumore al cervello trattati con farmaci che rallentano il ritmo di crescita dei nuovi neuroni.

Grazie a questo effetto secondario dei farmaci impiegati in oncologia, il ricercatore spera di poter comprovare se questi trattamenti permetteranno ai bambini di ricordare cosa successe loro prima della chemioterapia.

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